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  • TESTO DI PRESENTAZIONE ALLA MOSTRA PERSONALE DI LUIGI DELLATORRE
    Quando Luigi Dellatorre mi ha chiesto uno scritto di introduzione ad una sua mostra personale confesso che, pur gradendo in modo convinto l’invito, mi é stato utile un attimo di riflessione.

    Riflessione, ben inteso, non dovuta a mancanza di stima a fronte di un impegno di ricerca spinto al massimo grado, ma al trovarmi a contatto con una personalità dal duplice modo di manifestarsi. Ad una operatività spaziante fra il rigore concettuale del segno e l’istintivo esprimersi della struttura cromatica, fra la severità di un discorso mentale costruttivo e la sensuale manifestazione del suo realizzarsi emozionale.

    L’emblematico titolo che l’artista ha proposto alla presente mostra[1] accomunato alle parole dal significato ambiguo inserite, quasi a mo’ di firma, in molte sue opere danno preciso indizio di questo oscillare di intenzioni: spazianti fra la fede nel messaggio proposto e l’invito ad un dubbio interpretativo che ancora vive nell’artista. Chiaro sintomo, questo, di una radice operativa ricca di informazione acculturata, ma anche di un’ansia propositiva sfociante in una ricerca che senza tradire il rigore mentale non abbandona l’inconscia istintività dell’emozione.

    Ecco, quindi, che la campitura monocromatica di sostegno, nel nostro caso di un nero totale, che viene interrotta superficialmente da incisioni non organizzate, ospitante figure geometriche elementari e rigorose, evidenziate unicamente, o quasi, dai colori primari - giallo, rosso, blu - viene resa espressivamente emotiva dalla pennellata non regolarmente distesa che riflette la luce con variazioni di intensità luminosa non omogenea.

    Ecco che la superficie nera del quadro viene intersecata da un canapo di colore giallo, blu o rosso, distaccato dal proprio ambiente d’uso consueto per essere trasferito a significante di comunicazione emotiva.

    Ecco la stessa superficie resa supporto di accennate ed intuibili figure geometriche rese visibili da una serie di bulloni avvitati a distanze ed in posizioni calcolate, così da dare corpo ad immagini di concluso rigore.

    In altra occasione, affrontando analogo problema, ne assunsi a giustificazione il termine di “inconscio razionale”.

    In effetti, oggi come allora, ci si trova di fronte ad un dialettico rapporto in atto fra le esperienze accumulate nell’arco del vivere esistenziale - l’inconscio - ed il pensiero speculativo - il dato empirico - il cui aggrovigliarsi é testimoniato dall’operazione dell’artista.

    Un “inconscio”, forse, apparentemente ironico, ma, nella sostanza intensamente vissuto e ricco di tormentate incertezze: una “razionalità’’ che, alla fine, si assume quale dominante nel contesto dell’opera. Ed é nel profondo di tali intenzioni, almeno a considerare gli attuali momenti di testimonianza, che Luigi Dellatorre tende a focalizzare la propria ricerca.

    Porre in essere una proposta che lega l’appreso, speculativamente intelligente, alla realtà dell’esistere, atto originale dell’Io segreto.

    Novembre 1993, Giuseppe Franzoso

    [1] Mostra personale Non tutti san perché… la Peppina fa il caffé, Palazzo V. Roncalli, Vigevano (PV), dicembre 1993.